A 30 anni, lasciare un lavoro stabile per viaggiare da solo per il mondo sembra tanto folle quanto liberatorio. Eppure, questa decisione, segnata da apprensioni e sogni d’avventura, si è rivelata essere ben più di una semplice sequenza di scoperte turistiche. Quest’anno di vagabondaggio e incontri dall’altra parte del mondo mi ha offerto un’immersione profonda nella solitudine, nella sua prova come nella sua bellezza, illuminandomi su volti insospettati dell’umanità. Tra difficoltà, risate e introspezione, ecco cosa ho tratto da questa parentesi indimenticabile in cui il viaggiatore solitario che sono diventato ha imparato a domare la solitudine e a gustarne la forza.
Chiamata all’avventura: il grande salto nell’ignoto
Il colpo di fulmine è spesso quel famoso traguardo dei 30 anni. Mentre altri collezionano candeline o mutui, io ho accumulato il coraggio di abbandonare tutto per un altrove. Il mondo mi chiamava, e dietro l’eccitazione, il vertiginoso non era mai lontano. Saltare nell’ignoto significa affrontare situazioni bizzarre: voli persi, valigie troppo pesanti da trascinare per quattro piani sotto il caldo toscano, menu incomprensibili. Da solo, ogni problema diventa una piccola prova epica (con, a volte, un gesticolante in mezzo alla strada, Google Translate attaccato all’orecchio).
Ma ben presto, il viaggio cancella i suoi fastidi per offrire doni: la libertà totale, il tempo che rallenta, l’inaspettato che spunta all’angolo di una stradina o sulla spiaggia di una cala segreta della costa varoise (tesoro nascosto della costa varoise).
La solitudine, questa strana compagna
Se ne parla poco, ma la vera star del viaggio da solo è lei: la solitudine. La temiamo, la fuggiamo, fino al momento in cui, tanto inevitabile quanto la pioggia a Glasgow, si impone. Eppure, è in quei momenti in cui nulla e nessuno riempie il silenzio che impariamo finalmente ad ascoltarci. La solitudine, l’ho spesso temuta, ma si è rivelata preziosa. Mi ha costretto a rallentare, a osservare piuttosto che a cambiare canale, a gustare l’istante presente… anche se non c’era nessuno con cui condividerlo in quel momento.
Questa fragilità, nelle camere d’hotel o sui terrazzi di fronte al mare Egeo (a proposito, se cercate la prossima meta paradisiaca, queste spiagge in Grecia sono mozzafiato), può essere rovesciata per grazia di un sorriso scambiato con uno sconosciuto, di un gesto benevolo. Paradossalmente, è la solitudine che mi ha aperto le porte degli altri e di me stesso.
Incontri inaspettati: l’arte di tessere legami efimeri
È affascinante osservare come viaggiare da soli attiri scambi autentici. Per quanto possa sembrare curioso, le conversazioni più belle nascono spesso con sconosciuti, durante una cena a Glasgow o una passeggiata a Firenze. Così, quando questa viaggiatrice mi ha lanciato, all’angolo di un pub scozzese, un complice « E la solitudine, come la gestisci? », ha centrato l’essenziale. Condividere le nostre fragilità è fare cadere delle barriere, e la solitudine diventa pretesto per complicità fulminanti e indimenticabili.
In ogni paese, in ogni città, ho incrociato anime alla ricerca di qualcosa come me – quelle e quelli che, appena incontrati, ti offrono un pezzetto della loro storia o ti coinvolgono per una notte di conversazioni o un’escursione improvvisata alla scoperta di nuovi orizzonti, come i castelli scozzesi che sembrano usciti da una favola (castelli incantati in Scozia).
La bellezza dell’istante: quando l’umanità si rivela
Il viaggio da solo mi ha plasmato con un cuore più poroso alla dolcezza delle piccole cose. Perché la gentilezza, lontana dall’essere un mito, si infiltra ovunque: quel cameriere danese che cura un dito ferito, quell’inconnu che cattura il tuo stupore di fronte a un dipinto… Ogni paese attraversato, dal Costa Rica fino al Mediterraneo (Pacifico o Caraibi, a voi la scelta), racchiude questi « momenti regalo » che rendono la solitudine luminosa piuttosto che pesante. Si scopre che è normale – e persino auspicabile – meravigliarsi dei gesti anodini, delle domande condivise, delle risate spontanee attorno a un tavolo.
Cambiare pelle: rinascere a se stessi attraverso l’altrove
Viaggiare da soli significa anche regalarsi il lusso di reinventarsi. Come quell’ottantenne incontrato su una panchina fiorentina, tornato a casa dopo 35 anni a Bruxelles per « ricominciare da capo » – o Dreina, quell’artista ungherese stabilita in Toscana, decisa a (ri)scoprire se stessa. Il loro messaggio era chiaro: non è mai troppo tardi per scrivere un nuovo capitolo. Partendo sulle strade, ho imparato ad abbracciare le mie incertezze come territori vergini da esplorare.
Lo spettacolo del mondo, che si dispiega sulle rive dell’Arno o nell’effervescenza delle stradine di Spalato, invita a una ginnastica interiore: prendere distanza, cambiare angolo, sorprendersi ogni giorno. Viaggiare da soli non mi ha solo insegnato a gestire la solitudine – mi ha insegnato ad amarla, a farne una forza per gustare meglio la bellezza (un po’ come scegliere da soli la propria spiaggia o il proprio compagno di viaggio, perché no diverso ogni giorno? Scoprite perché alcuni viaggiatori preferiscono partire da soli).
Trovare la libertà nella vulnerabilità
Ciò che colpisce di più, quando tutte le paure cadono, è la libertà che nasce dalla vulnerabilità pienamente assunta. Tra due aerei e alcune difficoltà logistiche, ho imparato a fidarmi. Della mia buona stella, della mia intuizione e soprattutto dell’ignoto. Ogni viaggio, ogni deviazione, ogni imprevisto mi ha offerto una piccola lezione di umiltà: quando lasciamo andare, la vita è piena di sorprese.
Alla fine, quest’anno di viaggio da solo non ha solo spazzato via i miei pregiudizi sulla solitudine, mi ha aperto a un mondo in cui si esplora tanto l’esterno quanto si mettono in discussione le proprie frontiere interiori. Con, in più, la certezza sorprendente che la più bella avventura è quella in cui si osa affrontare e incontrare se stessi, sotto tutti i climi.